Libri & Psicologia

“L’amica geniale” che è in noi

copertina Elena FerranteDiventare. Era un verbo che mi aveva sempre ossessionata, ma me ne accorsi per la prima volta solo in quella circostanza. Io volevo diventare, anche se non avevo mai saputo cosa. Ed ero diventata, questo era certo, ma senza un oggetto, senza una vera passione, senza un’ambizione determinata. Ero voluta diventare qualcosa – ecco il punto – solo perché temevo che Lila diventasse chissà chi e io restassi indietro. Il mio diventare era diventare dentro la sua scia. Dovevo ricominciare a diventare, ma per me, da adulta, fuori di lei.”

Questa è una delle parti che più mi hanno colpita de “L’amica geniale”, la quadrilogia di Elena Ferrante, misteriosa scrittrice napoletana che sembrerebbe nascondersi dietro uno pseudonimo e che con i suoi libri sta raccogliendo un enorme consenso, in Italia e anche oltreoceano. Ho divorato i quattro sostanziosi volumi uno dietro l’altro, incapace di staccarmi, sentendomi addosso umori e malumori delle due protagoniste, immergendomi a pieno nelle personalità descritte in quelle pagine in tutte le loro sfaccettature.

“L’amica geniale” è il lungo viaggio di una vita, anzi, di due vite, di più vite. Sessant’anni di storia si srotolano lungo i quattro volumi, dagli anni Cinquanta ai giorni nostri. Cambiamenti culturali, politici, sociali ed economici fanno da sfondo all’amicizia profonda e ambivalente che lega due donne, ai personaggi che ruotano intorno a loro, nascendo, crescendo, cambiando e morendo, e al rione napoletano fulcro dell’intero racconto. O forse, è il contrario. Sono le esistenze di Lenù e Lila a fare da sfondo alle trasformazioni di ogni tipo che hanno travolto Napoli e l’Italia a partire dal dopoguerra a oggi. Le loro psicologie, così ben descritte tanto da risultare reali, tanto da far pensare a persone in carne e ossa, sono l’esito di processi sociali inarrestabili e in quelli si rispecchiano.

La povertà dei rioni, le violenze domestiche, la rivalsa sociale, il bisogno irrefrenabile di migliorare e di affrancarsi, il sessantotto, l’emancipazione femminile, il movimento operaio, gli anni di piombo, il potere della camorra, la tossicodipendenza, l’identità sessuale, la corruzione politica. Tutto ciò accompagna passo per passo le vicende delle due donne, che dalla prima elementare fino all’anzianità, si confrontano con un forte sentimento fatto di ammirazione e invidia, dipendenza e rifiuto, sintonia e incomprensione. Ognuna è l’amica geniale dell’altra, ognuna è lo specchio in cui l’altra scorge ciò che sarebbe potuta diventare, ognuna è per l’altra limite e stimolo.

L’aspetto che ho trovato più genuinamente psicologico è proprio questo concetto, che sembra trapelare tra le righe, dell’identità personale che si costruisce a partire dalle approvazioni o dalle critiche altrui, quasi come se fosse impossibile definire se stessi senza riferirsi a un altro per somiglianza o contrapposizione. E così, senza l’altro che ci ammira, ci critica, ci approva o ci disapprova, un altro reale o interiorizzato, rimane un vuoto, ovvero la nostra autenticità, a cui è difficile dare voce. Questo sembra essere il dilemma esistenziale di  Lenù, Io narrante e polo riuscito della coppia, che si affanna per liberarsi del rione e delle umili origini, fino a diventare una scrittrice acclamata, ma che nella sua ricerca continua di approvazioni rivela uno scarso amore di sé e una tendenza a sfilacciare i propri confini pur di non perdere l’altro. “Forse devo cancellare Lila da me come un disegno sulla lavagna, pensai, e fu, credo, la prima volta. Mi sentivo fragile, esposta a tutto, non potevo passare il mio tempo a inseguirla o a scoprire che lei mi inseguiva, e nell’un caso e nell’altro sentirmi da meno.” Lila, d’altro canto, dalla grande “intelligenza senza scopo”, è costretta a fermarsi alla quinta elementare, rimane quindi schiacciata nel rione, lasciando che siano la mancanza degli studi e l’imbrigliamento della sua vivacità intellettiva a definirla per sempre, e finisce per proiettare su Lenù le sue ambizioni abortite. “Tu sei la mia amica geniale, devi diventare la più brava di tutti, maschi e femmine.” Entrambe guardano all’altra come a un’incitazione, uno sprono, una stimolazione a fare o a non fare, in un doppio femminile in cui è facile ritrovarsi.

Non sarà un caso che a narrare così della faticosa costruzione di un’identità sia una scrittrice che ha deciso di nascondere la propria e che risulta molto abile nel far sparire e dissolvere alcuni dei suoi personaggi, facendoli poi “parlare” attraverso la loro assenza.

Le caratterizzazioni psicologiche dei personaggi della Ferrante sono straordinariamente realistiche. Le loro vite, raccontate minuziosamente, sebbene piene di avvenimenti che possono apparire inconsueti, potrebbero essere le nostre stesse vite raccontate con il senno di poi, da anziani, quando realizziamo che abbiamo attraversato decenni e decenni, e raccogliamo la miriade di piccoli e grandi stravolgimenti che ci hanno riguardato. In quegli stravolgimenti riusciamo a leggere i cambiamenti che hanno pian piano rivoluzionato la nostra esistenza, ma ritroviamo anche quegli aspetti, smussati e ridimensionati, che ci hanno caratterizzato da sempre. E così, in questo lungo viaggio attraverso più vite che la Ferrante ci regala, ci stupiamo e ci  rammarichiamo dinanzi ai cambiamenti che colpiscono personaggi e situazioni, il rivoluzionario sessantottino che diventa un deputato corrotto, il ragazzino intelligente che si perde nella dipendenza, la famiglia serena che si disintegra dopo un dolore, eppure constatiamo che i germi di quella evoluzione e di quel cambiamento erano già presenti in quella personalità, già suggeriti e abbozzati. Un personaggio diventa, quindi, incredibilmente vero, ci ricorda le nostre evoluzioni e i nostri punti fermi, ci racconta in maniera cruda delle nostre debolezze e delle nostre forze.

Consiglio questo lungo racconto a chi ama la narrazione, a chi si pone domande sulle imprevedibili strade che può imboccare un’intenzione, a chi cerca di oscurare le proprie origini anziché riconoscerle, a chi sente perennemente il conflitto tra andare e rimanere, a chi si guarda indietro cercando di capire le antiche motivazioni che l’hanno mosso.

Poi, chissà se si arriva mai a una reale comprensione… “A differenza che nei racconti, la vita vera, quando è passata, si sporge non sulla chiarezza ma sull’oscurità.”

Buona lettura!

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