Paterson. La bellezza della consuetudine
Tempo di rientri. Dalle vacanze, dalle ferie o, per chi non ne abbia avute, dalla tipica atmosfera di sospensione dei mesi estivi. La città deserta pian piano si ripopola, i mezzi si riempiono, le strade si intasano nuovamente. Riprende ciò che viene definita “la normalità”, la vita di tutti i giorni, la routine lavorativa, scolastica o domestica, il tran tran ripetitivo.
C’è chi saluta con sollievo il ritorno all’usuale ritmo quotidiano, lo accoglie come si accoglie un’ovattata sicurezza, un porto familiare a cui ricongiungersi dopo un’esplorazione. Al contrario, c’è chi arriva a soffrire di un vero e proprio “trauma da rientro”, al pensiero di riprendere contatto con ciò che è stato lasciato in sospeso e di cui forse non è profondamente contento.
L’andamento delle nostre giornate tipiche, sia che lo percepiamo come insostenibilmente noioso e ripetitivo, sia che lo consideriamo soddisfacente e sereno, è ciò che contribuisce a dare senso e struttura al nostro incedere negli anni e nel tempo della nostra vita.
È riflettendo su ciò che mi viene in mente un prezioso film di Jim Jarmusch uscito nel 2016, Paterson, a cui vorrei dedicare queste righe e di cui consiglio la visione a chi non ha ancora avuto l’occasione di vederlo.