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Matera. Il passato che non passa
La Basilicata è una regione che ho nel cuore. Discreta, un po’ nascosta, piena di ricchezze naturali e paesaggistiche, di piccoli paesi da scoprire. Schiacciata tra la più estrosa Campania e la più turistica Puglia, rischia di essere relegata nel dimenticatoio, spesso confusa con le vicine, solo faticosamente associata a qualche caratteristica, quasi come se non avesse una propria identità.
Sarà che metà del mio sangue proviene da quelle terre che ho avuto modo di conoscere presto, credo fermamente che sia un’area geografica degna di essere esplorata, osservata, studiata. Terra natale di Orazio, non presenta “soltanto” le bellezze naturali dei calanchi, delle dolomiti lucane e di un Parco Nazionale, ma porta nella sua storia e nella sua evoluzione i segni di una civiltà passata, forse in parte ancora viva, che è di notevole interesse antropologico, psicologico, sociologico. Basti pensare agli studi di Ernesto De Martino, che negli anni Cinquanta effettuò le sue spedizioni etnografiche nei paesini lucani, tra i contadini, concentrandosi sui rituali magico-religiosi praticati per affrontare la morte. O all’interesse di Carlo Levi per quella gente e quella realtà, ben ritratti in Cristo si è fermato a Eboli.
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Nel ventre di una città…
Ci sono dei posti che colpiscono in maniera particolare, toccano corde molto profonde e rimangono impressi nella memoria insieme all’atmosfera che vi si respira.
Qualche tempo fa ho visitato un posto che credo sia unico al mondo per la sua singolarità e che di certo non lascia indifferenti. Ne parlo qui per le riflessioni a cui permette di giungere, al crocevia tra psicologia, sociologia, etnologia, e per poter contribuire a divulgarne l’esistenza.
Si tratta del Cimitero delle Fontanelle di Napoli, luogo al limite tra sacro e profano, cattolico e pagano, spirituale e feticista, realtà e fantasia, immenso ossario collocato all’interno di una cava tufacea, nella pancia vibrante della città, silenzioso, magico, affascinante.