Libri & Psicologia

Nietzsche, scelta e libertà

Avete mai immaginato Friedrich Nietzsche piangere? Risulta difficile immaginarselo, ma è quanto accade sul finale di uno dei libri più intensi che abbia mai letto, “Le lacrime di Nietzsche”, di Irvin Yalom, affermato psichiatra statunitense, psicoterapeuta e … scrittore.

Yalom scrive romanzi, storie dense di cambiamenti tanto graduali da sembrare reali, in cui la conoscenza che ha l’autore della psicologia umana si intreccia sapientemente alla sua passione per la filosofia. Filosofi come Nietzsche, Schopenhauer, Spinoza, diventano personaggi veri e propri, le loro biografie e le loro idee vengono utilizzate per dare vita a una storia immaginaria e si mescolano alle vite di altri personaggi realmente esistiti o inventati.

La filosofia di Nietzsche è il pretesto per affrontare in maniera romanzata e intrigante una serie di tematiche: la nascita della psicoanalisi, la relazione terapeutica, la ricerca difensiva della solitudine, il rifiuto impaurito delle relazioni, la libertà di scegliere, la catarsi emotiva dell’apertura all’altro.

L’ambientazione è così nitida da dare al lettore l’impressione di trovarsi davvero nella fredda Vienna nel dicembre del 1882. Josef Breuer, il facoltoso medico austriaco che contribuì alla nascita della psicoanalisi, diventa per una serie di circostanze il medico di Friedrich Nietzsche, affetto da dolorosissimi e invalidanti attacchi di emicrania. L’incontro tra i due, naturalmente immaginario, finisce per essere di fondamentale importanza per la crescita emotiva di entrambi.

Breuer, in preda a una crisi esistenziale, insoddisfatto della propria vita nonostante i successi professionali, tentato dalla voglia disperata di mollare moglie e lavoro per assaporare la libertà, finisce per chiedere a Nietzsche, suo paziente, di fargli da consulente filosofico e di indicargli la strada per trovare la serenità. L’intento mascherato di Breuer, interessato alle questioni psichiche, è in realtà quello di approfittare delle “sedute” con Nietzsche per ribaltare i ruoli terapeutici e portare pian piano il reticente e solitario filosofo a realizzare che le sue forti emicranie e i suoi malesseri fisici sono legati a una forte disperazione e all’isolamento a cui si sottopone. La singolare relazione “terapeutica” che si instaurerà tra i due, e che si dipanerà attraverso i profondi dialoghi delle “sedute”, si rivelerà per entrambi foriera di cambiamenti e di scongelamenti emotivi. Breuer dimenticherà gradualmente il suo iniziale intento da medico e si lascerà andare allo svelamento di sé, arrivando non senza fatica a capire, grazie alle riflessioni di Nietzsche, da dove proviene il suo malessere psicologico, e ad “amare ciò che ha voluto”. Nietzsche, dal canto suo, grazie all’intimità emotiva sperimentata con Breuer, scoprirà di essere capace di “toccare” e di “lasciarsi toccare”.

A fare da cornice a questo intenso scambio è un personaggio che è un piacere vedere sulla scena di un romanzo: Sigmund Freud, amico di Breuer, giovane medico futuro padre della psicoanalisi. E poi innumerevoli riferimenti a nomi di rilievo della filosofia, della medicina, della ricerca scientifica del tempo.

Sono pagine, dunque, indubbiamente cariche di fervore culturale e di interrogativi sull’esistenza umana. I punti salienti della filosofia di Nietzsche, quelli che hanno circondato la sua figura di un alone di fascino e mistero, come l’eterno ritorno dell’uguale, la volontà di potenza, la ricerca della verità, il “Divieni ciò che sei”, sono dispensati attraverso i dialoghi tra i due personaggi principali, in un modo che fa venir voglia di riprendere in mano un libro di filosofia e riscoprire questo singolare pensatore. Anzi, riprendendo la filosofia di Nietzsche attraverso le parole che Yalom fa dire al suo personaggio, molti aspetti di essa, anche quelli più oscuri, appaiono più comprensibili.

Allo stesso modo, tra le pagine è narrata, sebbene in maniera romanzata, la storia della nascita della psicoanalisi, e viene condensato nei dialoghi tra Breuer e l’amico Freud il momento in cui si arriva gradualmente a comprendere che in ognuno di noi vive una “coscienza nascosta”, l’inconscio. E che tale coscienza nascosta si può liberare, o meglio, integrare alla coscienza, grazie a una terapia diversa da quella medica, una sorta di “chirurgia psicologica”, di “cura parlata”. È il momento in cui sta per prendere forma quel rivoluzionario movimento di pensiero che prenderà il nome di psicoanalisi e di cui Freud diverrà il padre. Leggendo queste pagine sembra di assistere a quel momento, parteciparvi, respirarne l’atmosfera e l’odore di scoperta.

E non ha importanza che gran parte delle vicende narrate siano immaginarie, che nella realtà Breuer e Nietzsche non si siano mai incontrati, che tra di loro non ci sia stato alcuno scambio terapeutico. Il carattere immaginario dei dialoghi e delle situazioni non toglie sostanza a ciò che di vero è raccontato, l’angoscia di Breuer, il malessere di Nietzsche, l’amicizia tra Freud e Breur, la nascita della psicoanalisi.

Sono diversi i quesiti esistenziali che Breuer e Nietzsche affrontano durante i loro incontri e che sono passibili di diventare spunti di riflessione per ogni lettore. In particolare, ciò che viene affrontato in profondità è il concetto di “scelta” e la relativa libertà. Ovvero, quanto siamo stati liberi di scegliere la nostra vita? Da cosa sono condizionate le nostre scelte? Equivalgono ai nostri desideri?

L’ambizione professionale, la ricerca del consenso, le scelte sentimentali, il senso del dovere, le relazioni sociali. Chissà quante delle strade intraprese riflettono motivazioni inconsapevoli, aspettative familiari, condizionamenti culturali; chissà quante di esse provengono da desideri autentici. “La vostra vita l’avete vissuta? O ne siete stato vissuto? L’avete scelta? O ne siete stato scelto? L’avete amata? O vi è dispiaciuta?”, chiede il filosofo al medico. Probabilmente imbocchiamo strade sulla scia di motivazioni che non sempre conosciamo e viviamo una vita che ci è stata “assegnata” dal mondo a cui apparteniamo. Può capitare, come capita a Breuer, che si arrivi al momento della massima realizzazione con un senso di soffocamento e il bisogno di fuggire dai legami, magari creandosi nella fantasia un altrove consolatorio e idealizzato, che sia un’altra donna, un altro lavoro, un’altra città, che nasconde il vero interrogativo che inconsciamente pungola la persona. Perché ho scelto questa vita e perché voglio scappare? Breuer affronta faticosamente tali dilemmi e realizza di aver incolpato i suoi legami di avergli tolto la libertà solo perché era lui stesso a temerla. Sente, quindi, di amare in realtà ciò che ha voluto e di potersi sentire libero anche all’interno di relazioni familiari, professionali, sociali. Non è la relazione ad uccidere la libertà, bensì è la paura stessa della libertà che porta a sentirsi internamente prigionieri. Ovvero: (…) un rapporto ideale di matrimonio esiste soltanto quando non è necessario per la sopravvivenza di ciascuna delle due persone. (…) per porsi in un rapporto totale con un’altra persona, bisogna prima porsi in rapporto con se stessi. Se non sappiamo abbracciare la nostra solitudine, useremo gli altri semplicemente come uno schermo nei confronti dell’isolamento.” Vivere in totale libertà equivarrebbe a vivere in totale isolamento, strada che sembra invece aver “scelto” il personaggio di Nietzsche, che non ha radici, non ha casa, non ha amici, non ha cattedra. Le relazioni per lui sono più di una prigione. Ammazzano la ricerca di se stessi, la verità, la potenza. Rendono deboli, ciechi. Eppure, sul finale del racconto, questo filosofo così misterioso, solitario e sfuggente, aprendosi finalmente a colui che nel frattempo è diventato un amico, scoppia in lacrime, e ammette di temere la solitudine quanto qualsiasi altro, e di non avere altra consolazione che la compagnia delle menti del passato e il pensiero del suo successo postumo.

Le lacrime di Nietzsche sono quasi catartiche. Arrivano all’improvviso e scaldano il lettore, scongelano le rigidità, smussano la solitudine, fanno pensare che tutto sommato ci si può fidare degli altri, ci si può lasciare andare. E anche se Nietzsche continuerà a scegliere la fuga dalle relazioni, per “cercare la verità al capo estremo della solitudine” e amare anch’egli ciò che ha voluto, ovvero il suo destino di geniale visionario, si può dire che questo romanzo sia un inno alla relazione, intesa nel senso più ampio. Amore, amicizia, colleganza, società, relazione terapeutica.

Per dirla con le parole che Yalom fa dire a Nietzsche:

“È strano, ma nel momento stesso in cui, per la prima volta in vita mia, rivelo la mia solitudine in tutta la sua profondità, in tutta la sua disperazione, in quel preciso momento la solitudine si squaglia! L’istante in cui ti ho detto che nessuno mi ha mai toccato è stato esattamente quello in cui mi sono lasciato toccare. Un istante straordinario, come se un’enorme crosta intima di ghiaccio si fosse improvvisamente riempita di crepe, andando in frantumi.”

Un’enorme crosta intima di ghiaccio che va in frantumi. È proprio ciò che si prova quando ci si lascia andare all’altro, nonostante la paura, la fatica, la sfiducia.

Senza dimenticare di ascoltare il proprio Io, requisito indispensabile per poter rimanere in una relazione senza il timore di diventarne prigionieri.

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